Che le decisioni pubbliche costituiscano un problema è ormai senso comune in Italia. Non passa giorno senza che politici, amministratori o commentatori non levino il dito contro l'inconcludenza dei processi decisionali nel nostro paese e non caldeggino l'adozione di vie più rapide di quelle attuali.
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L'archetipo di Alessandro Magno a Gordio che taglia il nodo invece di scioglierlo è tornato a esercitare un forte richiamo nella nostra repubblica postconsociativa. In effetti la parola "decidere" è, dal punto di vista etimologico, parente stretta di "recidere". E non si tratta di un'etimologia del tutto fuorviante. Non si decide senza tagliare via o sacrificare qualche alternativa o qualche possibilità. Ma non è detto che lo strumento più efficace per compiere questa operazione sia la spada o i suoi moderni equivalenti, siano essi la volontà di una maggioranza o la razionalità di un governante-manager. I nodi con cui abbiamo a che fare sono tenuti serrati da un insieme di interessi, spesso rappresentati da legittime istituzioni, che non permettono soluzioni traumatiche. Chi li trancia di netto non si apre alla conquista dell'Asia, come accadde al giovane principe macedone, ma rischia semplicemente di ritrovarsi al punto di partenza. Oppure di realizzare risultati peggiori e meno duraturi di quelli che avrebbe potuto raggiungere dipanando la matassa con gli altri attori coinvolti. Dobbiamo insomma renderci conto che le moderne democrazie non abitano a Gordio. Il libro contiene tre saggi sui processi decisionali politico-amministrativi, che discutono le condizioni in cui vengono prese le decisioni nelle democrazie pluraliste e i meccanismi cognitivi e interattivi attraverso cui esse prendono corpo.