Il bagno di Diana è senza dubbio, di tutti i testi di Klossowski, il più vicino alla luce abbagliante, ma per noi estremamente oscura, da dove ci vengono i simulacri.
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Ritroviamo, in questa esegesi di una leggenda, una configurazione simile a quella che organizza gli altri racconti, come se tutti trovassero là il loro grande modello mitico: Atteone nipote di Artemide, così come Antonio lo è di Roberta; Dioniso zio di Atteone, e vecchio maestro dell'ebbrezza, dell'incertezza angosciosa, della morte rinnovata senza tregua, della teo-fania perpetua. Diana sdoppiata dal proprio desiderio. Atteone metamorfosizzato allo stesso tempo dal proprio e da quello di Artemide. E tuttavia in questo testo consacrato all'interpretazione di una leggenda lontana e di un mito della distanza (l'uomo punito per aver tentato di avvicinare la divinità nuda) l'offerta è come ravvicinata. Là i corpi sono giovani, belli, intatti; fuggono l'uno verso l'altro in una certezza assoluta. Il fatto è che il simulacro si mostra ancora nella sua scintillante freschezza, senza dover ricorrere all'enigma dei segni. I fantasmi sono l'accoglimento dell'apparenza nella luce dell'origine. Ma si tratta di un'origine che spontaneamente si ritira in una lontananza inaccessibile. Diana al Bagno, la dea che si nasconde nell'acqua nel momento in cui si offre allo sguardo, non è soltanto la deviazione degli dèi greci, è il momento dove l'unità intatta del divino «riflette la propria divinità in un corpo verginale», e così facendo si sdoppia, distanziandosi da se stessa, in un demone che la fa apparire casta e nello stesso tempo la offre alla violenza del Capro, e quando la divinità cessa di sfavillare nella radura per sdoppiarsi nell'apparenza dove soccombe giustificando se stessa, allora esce dallo spazio mitico ed entra nel tempo dei teologi. La traccia desiderabile degli dèi si raccoglie (forse si perde) nel tabernacolo e nel gioco ambiguo dei suoi segni. (Dallo scritto di Michel Foucault)