Il fascino di questo volume di Mario Botta trae motivo da una sequenza di testi (dal 1979 al 2005) che sembra ricostruire una sorta di diario involontario: il gioco vario delle occasioni, delle luci e il tempo letterale del vissuto, delle emozioni.
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È un viaggio intorno all'intuizione dell'architettura: lo spazio bianco e la costruzione umana, la bellezza esistenziale e la bellezza essenziale. La pietra sulla terra, il muro, la luce, un colore interno. Via via si avvicendano scritti testimoniali (per architetti, per artisti), pagine bellissime di incontri fermati in uno scorcio inedito (Le Corbusier, Kahn, Siza, Frisch, Durrenmatt). C'è come un andare e venire dall'orizzonte più acuto della contemporaneità allo sguardo delle origini, della madre; al ricordo di quelle lontane parole semplici, feriali, toccanti con cui Alberto Giacometti a Parigi si rivolse a Mario Botta, giovane studente di architettura: «Sei svizzero anche tu, dovrai fare tutto da solo».