All'inizio degli anni Sessanta il cinema statunitense subisce una profonda metamorfosi. Alcuni generi classici come il western e il musical non funzionano più. Gli stessi vecchi magnati delle majors stentano a capire il rapido mutamento dei tempi e ad adeguarsi. Concorrente significativa, inoltre, è la televisione che contribuisce a mutare le esigenze dello spettatore medio.
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Da questo stato di crisi che sembra irreversibile, Hollywood risorge come dalle proprie ceneri, dando vita a una delle stagioni più felici e innovative della sua storia. Per circa dieci anni, dal 1966 al 1975, un gruppo di giovani registi e attori guida una vera e propria rivoluzione nel modo di intendere il cinema. A partire dal set, ora si prediligono gli esterni alle riprese in studio e la sceneggiatura smette di essere punto di riferimento stabile per venire stravolta nel corso delle riprese. Si respira una nuova ventata di libertà mescolata a una geniale e lucida follia, effetti delle "nouvelles vagues" europee e di cineasti arrabbiati ma pieni di talento, in alcuni casi completamente sregolati, che hanno cambiato e sovvertito le regole. Per un periodo di tempo limitato ma estremamente intenso, anche a Hollywood la "politica degli autori" prevale sulla "politica degli studios". Per le giovani generazioni il cinema non è più la "fabbrica dei sogni" ma il luogo dove rappresentare il proprio malessere nei confronti del perbenismo di una società tradizionalista e dar voce al desiderio di fuga dal mondo e di estasi provvisoria.