Si discute oggi in modo insistente di multiculturalismo, della sua inevitabilità, dei vantaggi che esso può comportare, ma anche dei pericoli che, a differenza dei promessi vantaggi, sono sotto gli occhi di tutti e tra i quali primeggia la messa in crisi delle identità collettive tradizionali.
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Nel peculiare caso italiano, è evidente il peso che ha avuto la tradizione cattolica; meno noto e discusso è il ruolo delle minoranze protestanti: fino a che punto esso ha contribuito alla formazione di questa identità? Sullo sfondo della più generale crisi dell'identità nazionale, e della crisi stessa della categoria di modernità e dei suoi valori, il problema è ritornato oggi di bruciante attualità. Il libro del pastore valdese Giorgio Tourn aiuta a metterne meglio a fuoco gli aspetti essenziali. Esso si muove tra due opposti pericoli interpretativi, che lo sfondo apologetico e il carattere di pamphlet finiscono per accentuare. Per un verso, dando per scontata la tradizionale tesi di Max Weber relativa al contributo determinante che il protestantesimo, nella sua variante calvinista, avrebbe fornito al costituirsi della modernità, Tourn, nella prima parte del suo saggio, ripropone un interrogativo tradizionale: che cosa ha perso l'Italia, non conoscendo la Riforma? E che cosa, per converso, ha acquistato, come suoi caratteri permanenti, rimanendo un paese cattolico, anzi, controriformistico? (G.Filoramo)