Qualche volta, leggendo la poesia dì Cappi,
mi è sembrato di cogliere in essa
la voce d'un marinaio.
Alberto non ha bisogno di allontanarsi
dalia sua grande pianura per avvertire il gusto
dell'acqua salata, o per cogliere i flussi e i riflussi
energetici, i soffi e le creste ondose, gli spruzzi
e le iridescenze che increspano l'esperienza.
[...]
la vera vertigine, egli scrive,
non è la -viandanza» ma la sosta:
solo quando sappiamo fermarci,
solo allorché abbracciamo lo spirito della terra,
dell'immobilità e della quiete riusciamo davvero
a captare tutto ciò che intorno a noi si muove,
facendo della vita una continua, inquieta odissea.
Se Cappi, dunque, è un marinaio,
lo sfondo delle sue parole è,
più che -l'alto mare aperto», un porto o una taverna:
uno di quei luoghi, evocati con struggente poesia
dal Jean-Claude Izzo di Marinai perduti,
in cui si consumano i riflessi del passato
e si bruciano lentamente le attese,
in cui si macinano i giorni appesì al filo
delle disillusioni o rabbrividendo a ogni sbuffo d'aria
che sembra porti con sé una nuova invitation au voyage.
La poesia di Alberto Cappi
spreme dal corpo delle parole tutti quei segreti
che, nell'inverno freddo del mondo, possono ancora
aprirla al canto immisurabile del dono.
Alberto Lagazzi