In Unione Sovietica furono poche le famiglie non toccate dal terrore staliniano. Secondo stime prudenti, tra il 1928, quando Stalin assunse la direzione del partito, e il 1953, quando mori circa 25 milioni di cittadini subirono la repressione.
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Quei 25 milioni - giustiziati da plotoni di esecuzione, detenuti del Gulag, confinati in insediamenti speciali, membri di nazionalità deportate - rappresentavano circa un ottavo della popolazione all'inizio degli anni Quaranta: in media ci furono due vittime ogni tre famiglie. Inoltre, la vita di decine di milioni di individui (i figli e i parenti dei perseguitati) ne risultò irrimediabilmente segnata, con conseguenze morali e sociali ancor oggi evidenti. Attingendo a numerosissimi archivi privati nascosti nelle abitazioni di ogni angolo del paese e al materiale raccolto in oltre quattrocento interviste a persone «informate dei fatti», Orlando Figes racconta in pagine intense e toccanti le storie segrete - tutte simili in quanto variazioni di un unico tema, lo stalinismo, ma ciascuna con la propria tragica cifra di orrore e sofferenza - di centinaia di famiglie russe di diversa estrazione e provenienza. E al contempo analizza, come non è mai stato fatto finora, la «soggettività sovietica», ovvero il mondo interiore dei cittadini sotto la tirannia di Stalin, per cercare di rispondere a domande tanto semplici quanto cruciali. Che cosa pensava e sentiva la gente comune negli anni della dittatura staliniana? Che tipo di intimità era possibile negli angusti appartamenti in coabitazione delle grandi città, dove ogni parola incauta poteva risultare fatale? Che cosa significava «vita privata» in una società rigidamente regolamentata in ogni ambito dallo Stato per mezzo della legislazione e del controllo ideologico e poliziesco? Esaminando come la sfera morale della famiglia reagì ai vari attacchi sferrati dal regime per minarne le fondamenta di istituzione «borghese» e plasmare I'«uomo nuovo», l'autore mostra perché per la maggioranza della popolazione, compresi coloro che ne furono schiacciati, integrarsi e identificarsi nel sistema era la strategia più semplice per tacitare dubbi e timori che, se espressi, avrebbero potuto rendere impossibile l'esistenza. E perché, viceversa, alcuni riuscirono, grazie a una doppia vita fatta di compromessi e menzogne ma anche di gesti di coraggio e solidarietà, a conservare e trasmettere tradizioni e convinzioni in netto contrasto con i valori «ufficiali»; o a risolvere il drammatico conflitto interiore, che si scatenava di fronte all'improvviso arresto dei propri cari in quanto «nemici del popolo», tra la fiducia nelle persone amate e la fede nel governo. Sospetto e silenzio non parla di Stalin, anche se la sua presenza è l'immutabile sfondo delle vicende narrate, e nemmeno in forma diretta della sua politica, ma spiega perché lo stalinismo riuscì a radicarsi nella testa e nel cuore di gran parte dei cittadini sovietici, trasformandoli in testimoni silenziosi o attivi collaboratori di un feroce potere totalitario.