Walt Whitman, uno dei maggiori poeti americani di tutti i tempi, nasce nel 1819 a West Hills (Long Island) e muore a Camden, nel New Jersey, nel 1892. Grande ammiratore del presidente Lincoln, dopo il suo assassinio, avvenuto nel 1865, scrive un gruppo di quattro poesie (tra queste “O Capitano! Mio Capitano!”). In quegli anni gli Stati Uniti non hanno ancora una “poesia” tipicamente americana, mancano in sostanza di un loro linguaggio, distinto, diverso, da ogni altro. Ma forse, più ancora che una poesia tipica, è assente il cantore, epico diremmo, che può impersonare con lancio estremo tutto ciò che l’America è e vuole essere. L’opera di Whitman, frutto di una concezione sostanzialmente romantica della poesia, mira a dare con un nuovo linguaggio antiletterario e popolare una sincera rappresentazione della realtà, unitamente a una esaltazione della fisicità dell’uomo. Per Whitman il compito principale del poeta è quello di creare le basi per dare espressione all’individualità. La personalità
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che egli cerca di riportare e con la quale identifica se stesso è quella dell’uomo americano nuovo, serio, fiero, orgoglioso. L’“io” delle sue poesie assume così un carattere quasi mitico, epico appunto, di forza, di energia genuina e pura. Noi due ragazzi che stretti ci avvinghiamo Noi due ragazzi che stretti ci avvinghiamo, mai che uno lasci l’altro, sempre su e giù lungo le strade, compiendo escursioni a Nord e a Sud, godiamo della nostra forza, gomiti in fuori, pugni serrati armati e senza paure, mangiamo, beviamo, dormiamo amiamo, non riconoscendo altra legge all’infuori di noi, marinai, soldati, ladri, pronti alle minacce, impauriamo vari, servi e preti, respirando aria, bevendo acqua, danzando sui prati o sulle spiagge, depredando città, disprezzando ogni agio, ci beffiamo delle leggi, cacciando ogni debolezza, compiendo le nostre scorrerie.