Non c’è festa senza vino, come insegna il Talmud. Non c’è vita e non c’è gioia, in questo mondo e nel mondo a venire, senza vino.
Nella tradizione ebraica (così come sarà in quella cristiana) il vino ha avuto e continua ad avere un ruolo culturale e cultuale talmente importante che non sarebbe possibile pensare l’ebraismo senza di esso.
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I quattro calici di vino del Sèder pasquale, il calice per la santificazione dello Shabbàt e delle feste, da parte ebraica (Qaddìsh), e il calice dell’Eucarestia, da parte cristiana, sono solo il segno reale e insieme simbolico del ruolo insostituibile del vino nella vita della comunità, della famiglia e della singola persona.
Pertanto, come si fa quando si beve un bicchiere in compagnia (da soli è triste e anche il vino buono perde sapore), auguriamoci l’un l’altro «Lechajim», «Alla vita». Che sia lunga, lieta, felice e che ci permetta di godere dei beni del mondo e di saziarci, nel segno comunque della giusta misura, di ciò che Dio ha creato per il nostro sostentamento e per la nostra gioia.
E, se è concesso il gioco di parole, auguriamoci anche: «Leyàyin», «Al vino»!