Questo libro cerca di sfatare alcuni luoghi comuni sugli intellettuali italiani in epoca contemporanea. Il primo è che siano scomparsi. Gli intellettuali in Italia in realtà esistono, sono tanti, stanno bene e sono in numero crescente.
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Per capirlo basta semplicemente cambiare i parametri della definizione, cercando di individuare quella intellettualità diffusa, presente soprattutto tra le nuove generazioni, che si configura in maniera diversa dall’intellettualismo di vecchio stampo, di carattere verticistico e moralistico, dominato da maitre à panser di turno. Il secondo è che la scomparsa dell’intellettuale-vate, esemplificata dal «mito» che è stato fatto di Pasolini, sia eventualmente un fatto negativo. In realtà è una occorrenza storica che deve essere salutata come un fatto emancipativo, come una circostanza benvenuta e non in termini “apocalittici” o nostalgici. È l’indicazione di un passaggio storico decisivo che libera la società dalla necessità di trovare forme autorevoli di mediazione culturale, lasciando spazio a una mobilitazione intellettuale più “anarchica”, orizzontale e democratica, visibile in epoca contemporanea per il diffondersi dei nuovi mezzi di comunicazione di massa, basati su meccanismi di network e non più di leadership.