«Felici gli amati e gli amanti e coloro che possono fare a meno dell’amore. Felici i felici»: questa «beatitudine» di Borges, da cui Yasmina Reza ha tratto il titolo del suo romanzo, ci dà subito una chiave per penetrare nel fitto intreccio delle vite che lo popolano.
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Se infatti uno dei personaggi, una donna, afferma: «Le coppie mi disgustano, mi disgusta la loro ipocrisia, la loro presunzione, la loro vieta connivenza», un altro dichiara al suo analista: «Quando sono a casa ho sempre paura che arrivi qualcuno e veda quanto sono solo». Perché la felicità – nell’amore o nell’assenza di amore, all’interno di una coppia o fuori di ogni legame – è un’attitudine: e si direbbe che, di tutti coloro che a turno consegnano al lettore confessioni a volte patetiche, a volte brucianti, a volte crudelmente comiche, quasi nessuno la possieda. I ventuno monologhi che qui si susseguono, in un sottile gioco di echi, di risonanze, di contrappunti – tra amori inaciditi e rancori mai sopiti, illusioni spezzate e fughe nel delirio –, formano un ordito i cui fili (tenui o pesanti come catene) collegano tra loro molteplici destini, tutti segnati dall’impervia difficoltà dell’incontro con l’altro. Con una scrittura di chirurgica precisione, in dialoghi che schioccano come frustate, e dove sempre lampeggia il genio della donna di teatro, in un avvicendarsi di scene nel corso delle quali, infrangendo la superficie smaltata delle buone maniere, esplode la violenza, e in una costante oscillazione fra il registro drammatico e quello grottesco, Yasmina Reza conduce la "ronde" dei suoi personaggi – mogli inquiete e mariti traditi, amanti insoddisfatte e fedifraghi cinici, giovani fuori di testa e vecchi abitati dalla morte – senza mai allontanarsi dalla ferrea lucidità e dal realismo intransigente di chi cerca di dire la nudità di ciò che è.